• 15/05/2024

INTERVISTA A CONOR MAYNARD

DiChristian D'antonio

Set 28, 2012

Incontrare il personaggio del momento, specie nello show-biz, crea sempre molteplici aspettativi. Ci sia accosta al protagoniste con un misto di scetticismo e curiosità. Conor Maynard, e le sue Mayniacs, come si sono auto-battezzate e sua fans, a prima vista può sembrare l’ultimo dell’infinita serie di teen-idol d’oltremanica. Poi si ascolta “without prejudices” come incitava George Michael 20 anni fa, il disco Contrast e si scopre che si è di fronte a quello che potrebbe essere il nuovo Justin Timberlake.

«Mi piace questo parallelo» ci dice Maynard «perché lui è stato apripista per molte cose, la nostra musica ha una matrice comune e io mi sono dedicato alla recitazione brevemente prima di cantare. Lui ovviamente ha fatto egregiamente tutte e due le cose e ci è riuscito molto bene».

Cosa ti ha spinto alla musica?

Non ci pensavo fin quando una ragazza all’uscita da scuola un giorno mi ha sentito cantare e mi ha subito bloccato dicendo che era fantastico quello che usciva dalla mia bocca. Ho pensato di trovarmi accanto a una pazza. Poi ci ho riflettuto sono salito in camera mia e mi sono messo a riarrangiare cover di pezzi che mi piacevano.

Credo tu sia il primo artista in classifica che non ha fatto gavetta dal vivo ma davanti al suo pc.
È un segno dei tempi. Il mio primo feedback l’ho avuto da mia madre, che dopo un video postato su Youtube mi ha messo un commento. In verità l’ha battuto alla tastiera due volte perché si era sbagliata.

In poco tempo hai avuto migliaia di visualizzazione delle tue cover. Come te lo spieghi?
Veramente c’è voluto un po’. Mi piaceva l’idea di prendere dei pezzi e rivoltarli a modo mio. Poi con Beautiful Monster di Ne-Yo è esploso tutto. Credo che sia stata la potenza dei link del web. A un certo punto le visualizzazioni sono diventate milioni e si sono accordi di me anche gli artisti che avevo “rifatto”.

Come sei arrivato a farti notare da Pharrell Williams, che secondo Billboard è il più influente produttore del decennio?

Da Brighton dove vivo tuttora mi è arrivato questo complimento, che è poi quello che ancora mi sconvolge più di tutti: Mi piace la tua musica. È la cosa migliore che mi potesse accadere. Mi voleva mettere già sotto contratto anni fa, ma ho preferito aspettare. E oggi sono contento di aver fatto “esercizio” online prima di arrivare a un disco tutto mio che dicesse qualcosa alla gente.

Dopo aver avuto tanto successo con le cover non ti preoccupava di uscire con composizioni tutte tue?

Alcuni mi dicevano: per favore farla finita! Ma per fortuna non erano tanti. Poi ho pensato che per il fatto di aver tirato in ballo artisti di una risonanza enorme un po’ di interesse ci sarebbe stato. Infatti chi mi incontra oggi mi dice che mi segue fin da quando ho fatto le cover.

Non hai mai pensato ad andare in tv o fare un altro tipo di percorso?

Non mi è mai sfiorata l’idea di presentarmi a un casting. Forse non c’è stato tempo, o forse se non avessi avuto successo lo avrei fatto adesso.
Hai solo 19 anni e hai una presa sul pubblico come sta accadendo a Justi Bieber. Come gestisci tutto questo?

Tra me e lui ci sono delle similitudini, per quanto riguarda l’entusiasmo delle ragazze che ci seguono e la nostra giovane età. Ma penso che se qualcuno prende tempo per ascoltare la mia musica scopre qualcosa di diverso. Per questo ho voluto che il mio disco di debutto si chiamasse Contrast, perché è in netto contrasto con quello che la gente si aspetterebbe da un diciannovenne.

Quali sono le influenze musicali che ti ispirano?
Non c’è il solo hip hop americano, come testimonia la canzone Just In Case dove c’è molto pianoforte. Mi sono spostato da Stevie Wonder e Michael Jackson a Jay Z e Kayne. Mi preoccupo sempre che la produzione delle mie canzoni non sovrasti la voce, voglio che si senta tutto bene e senza affollamenti inutili. Ho studiato piano da piccolo, ma poi mi sono fermato perché la mia insegnante mi faceva paura. Sembrava una strega.

C’è anche un altro aspetto in questa tua ascesa: pensi di creare invidia in chi per anni suona uno strumento e mette online la sua musica e nessuno se ne accorge?
Non credo che ci sia solo fortuna in quello che mi è capitato. Io penso molto all’originalità della proposta. Ho preso le canzoni dei Kings Of Leon, che avevano un mood rock e le ho stravolte. Questa mossa e la tenacia hanno destato curiosità. A me piace dire che è meglio fallire in originalità che peccare nell’imitazione.

Com’è la tua vita quando torni a Brighton?
Cerco di fare le cose normali, voglio che mia madre cucini per me, voglio che i miei amici mi stiano vicino. A dire il vero anche quando sono via mi assicuro sempre che qualcuno dei miei amici venga con me nei posti più carini, tipo i festival, nei backstage mi porto sempre il vecchio amico dietro. Poi succede pure che il mio successo invada le loro vite di riflesso. Il mio migliore amico si è ritrovato da un giorno all’altro ad avere 10mila follower su Twitter e non credo fossero interessati tutti a lui.
CHRISTIAN D’ANTONIO

Christian D'antonio

Christian D'Antonio (Salerno, 1974) osserva, scrive e fotografa dal 2000. Laureato in Scienze Politiche, è giornalista professionista dal 2004. Redattore di RioCarnival. Attualmente lavora nella redazione di JobMilano e collabora con Freequency.it Ha lavorato per Panorama Economy, Grazia e Tu (Mondadori), Metro (freepress) e Classix (Coniglio Ed.)