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Like a Virgin e The Wild Boys, 30 anni dopo non ci lasciano mai

DiChristian D'antonio

Nov 10, 2014

1984_Madonna_-_Like_A_Virgin_Album

Le canzoni che diventano testimonianza dei tempi ci fanno sempre capire che è bene inseguire la dimensione “timeless” ma che in fondo, gli autori e i protagonisti di un’epoca rimangono tali proprio perché in quell’epoca si rispecchiano, fanno furore, si distinguono. E la interpretano.

Non è un caso che a distanza di esattamente 30 anni siamo qui a discutere della rilevanza di due canzoni pop, che ormai di “canzone” hanno ben poco perché sono entrate nell’immaginario collettivo per ben altri e più ampi motivi.

Ne è stata testimone inconsapevole una delle recenti inchieste tv del programma Report: per illustrare la denuncia dei piumini Moncler, si è usato quel The Wild Boys dei Duran Duran che 30 anni fa divenne l’ambasciatore musicale italiano di un movimento di strada che ricordiamo come quello dei Paninari. Derisi e criticati all’inizio della loro comparsa per le strade di Milano attorno agli allora nascenti fast food, antagonisti naturali dei capelloni di sinistra del decennio precedente, nel 1984 i paninari (immortalati anche in un video cult dei Pet Shop Boys) furono la derivazione italiana griffata al disimpegno imperante del pop inglese. In mancanza di fenomeni pop nostrani, i giovani del 1984 si infatuavano delle video-star di Dee Jay Television, la finestra sull’international pop che c’era allora.

Non che Simon Le Bon e soci si fossero mai sognati di presentarsi in Moncler e Timberland, ma la sovrapposizione Duran-Paninaro funzionava “alla grande” (il gergo dell’epoca resiste!), complice anche lo sketch di Drive In e la diffusione dei walk-man.

Altro legame con l’Italia ce l’ha la seconda hit dello stesso periodo, ritornata alle cronache 30 anni dopo. Like a Virgin di Madonna, il suo primo vero successo, ripreso polemicamente e provocatoriamente nel disco più chiacchierato del momento, ovvero quello di una suora che ha vinto un talent show italiano e che per i meccanismi della digital age, si è ritrovata tra i sostenitori alcune personalità americane di grande influenza.

Like a Virgin non ha perso la sua connotazione provocatoria, evidentemente, se siamo ancora a parlarne oggi. Già il titolo accostato semplicemente all’interprete originale non poteva che far alzare qualche sopracciglio. E poi oggi, per effetto della sola frase cantata da una suora, che torna a Venezia come la cantante di Detroit 30 anni fa, evoca una sessualità scabrosa ma coperta, richiami di libertà e provocazione che, francamente, sono troppo schiaccianti rispetto al bisogno di preghiera che la suora vorrebbe trasmettere. È questo il punto: puoi cambiarne l’arrangiamento, l’interprete, usarne la stessa ambientazione “ripulita” per il remake del videoclip, ma la leggendaria immagine di Madonna che si rotola tra canali, gondole e leoni è lì che si ripresenta anche se è assente.

Potere evocativo del pop che, in un tempo forse irripetibile, ha saputo proiettare suggestioni indelebili e iconografia multimediale fuori dai tempi, proprio perché di quel tempo è diventato un vessillo.

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Bollati come inconcludenti e vuoti fenomeni di look che predomina sulla sostanza, 30 anni fa, di questo mese, Madonna e Duran hanno inventato una fantasia generazionale e un’industria al tempo stesso. The Wild Boys sembrava un grido di sopravvivenza metropolitana, Like a Virgin un manifesto di libertà agguantata con arroganza da una ragazza minuta ma dall’effetto accattivante macroscopico. Si sono costruiti il loro impero con questi 7 minuti (sommati) di musica popolare e hanno spalancato le porte a un nuovo marketing globale fatto di stampa per ragazzi, accessori di abbigliamento e hairstyle da copiare.

E c’è di più: il gradimento gender-blender è iniziato potenzialmente proprio con questi due successi mostruosi del 1984. Non si doveva essere una ragazzina sognante per apprezzare i Duran o un adolescente in esplosione ormonale per ammirare Like a Virgin. I ruoli potevano essere tranquillamente invertiti perché l’appeal era assolutamente trasversale.

Se si dovessero sintetizzare lo stile e lo spirito di quegli anni basterebbero quei due video. D’accordo, musicalmente c’è stato molto altro, e molto più alto, ma il pop anni 80 è in questi due titoli.

Guidati (è una coincidenza da brivido) dallo stesso stratega musicale (Nile Rodgers) con due pezzi di successo hanno riunificato la special relationship tra America e Gran Bretagna e fatto sognare con l’opulenza disimpegnata i teen ager da un lato e l’altro del muro di Berlino. E a distanza di tre decadi ne riparliamo con simpatia e, possiamo dirlo, con gratitudine.

CHRISTIAN D’ANTONIO

Christian D'antonio

Christian D'Antonio (Salerno, 1974) osserva, scrive e fotografa dal 2000. Laureato in Scienze Politiche, è giornalista professionista dal 2004. Redattore di RioCarnival. Attualmente lavora nella redazione di JobMilano e collabora con Freequency.it Ha lavorato per Panorama Economy, Grazia e Tu (Mondadori), Metro (freepress) e Classix (Coniglio Ed.)