• 09/11/2024

In esclusiva ecco come suona il disco di Bowie!

DiChristian D'antonio

Gen 8, 2016

bowie69
A 69 anni David Bowie ha davvero stupito. Se con The Next Day aveva sorpreso più per il ritorno sulle scene dopo un’assenza decennale che per i contenuti, questo Blackstar ha la stessa dirompenza di alcune sue mosse celebri del passato. Come quando nel 1997 si dette alla drum and bass o nel 1982 sposò la disco di Nile Rodgers. Mosse che hanno fatto scuola. E che quindi, se la storia si ripeterà, diventeranno un must per chi oggi vorrà trasporre il calore del jazz nella strumentazione rock. Tony Visconti ha prodotto un disco dove si alternano il sassofonista Donny McCaslin, il chitarrista jazz Ben Monder, il batterista Mark Giuliana, il bassista Tim Lefebvre, Jason Lindner alle tastiere e, in soli due brani, il fondatore degli LCD Soundsystem James Murphy alle percussioni. Ma non fatevi condizionare da quanto si dice in giro sulla matrice jazz del disco. Non è un matrimonio tra il mondo di Bowie e la Fitzgerald o cose simili. La sostanza è molto più complessa e avvincente.

In esclusiva per l’Italia è stata realizzata un’edizione speciale di  ‘★’ unica al mondo, impreziosita con cristalli Swarovski®. 69 preziosi box a tiratura limitata e numerata, pezzi unici da collezione, per festeggiare i sessantanove anni di David Bowie e l’uscita del suo album. Che dura molto e ha solo 7 pezzi (e questa è già un’indicazione).

Blackstar si presenta con un primo brano da 10 minuti, che è un omaggio alla stranezza compositiva di Earthling e alle icone jazz che sicuramente hanno un posto riservato nella memoria del Duca Bianco. Ma poi c’è anche la meditazione e il grande lusso, quello di poter toccare con un solo pezzo varie corde e tempi. Se c’è della genialità in Blackstar, partiamo da qui per comprenderla, ammesso che abbia bisogno di comprensione.

Perché a ben guardare questo Bowie versione 2016, 28 album e 50 anni di carriera, non fa nulla per essere compreso. Infatti qui non si sta parlando di vendite o commerciabilità, ma forse di arte pura.

Tis a Pity She Was a Whore è il secondo pezzo che dovrebbe introdurre a un’idea più precisa dell’album, ma è talemente stravagante nelle sonorità e scelte stilistiche che confonde. Vocalmente qui Bowie osa molto, pare di immaginare già i vari Morgan di questo mondo a tentare di raggiungere la stessa disinvoltura nelle immancabili cover.

Lazarus inizia con una chitarra ipnotica, con voce calda e un testo di indubbia ispirazione autobiografica. La sottrazione è la cifra della strofa, ma il ritornello ci riporta il Bowie che fu, anche se gli strumentisti si divertono a colorare il tutto con sonorità ai confini del soul.

Sue (Or In a Season of Crime) uno degli episodi più elettrici del disco, è un’incursione in territori inusuali per Bowie, perché la canzone qui non c’è proprio, nella forma pop che siamo abituati a percepire. In questo il Duca sta facendo un’operazione coraggiosa alla Prince, anche perché le tanto pubblicizzate influenze jazz e virtuose si sentono, ma macchiate da elettronica tenuta a bada da fiati dissonanti e chitarre e batterie davvero imprevedibili.

Girl Loves Me che  è riconducibile alla sperimentazione (almeno vocale) di Peter Gabriel degli anni 80) con echi di elettronica tribale, molto meno fragorosa di quanto la descrizione lasci intendere.

Dollar Days ci porta in un fumoso locale jazz con eleganza. La composizione piano e voce principalmente si distingue per pattern ritmici impossibili da seguire, ma la voce c’è e si spinge in un vorticoso esercizio non solo di stile. Imperdibile la goduria sulla divagazione sax nel bel mezzo del pezzo.

I Can’t Give Everything Away, a dispetto di quanto suggerisce il titolo (“non posso svelare tutto”) è forse la traccia meno enigmatica del disco, con una famigliarità del deep tone nella voce di Bowie che riporta ad Absolute Beginners. Anche se ogni paragone col passato può sembrare all’ascoltatore fuori luogo, proprio perché ci troviamo in presenza di un disco senza tempo.

Christian D’Antonio
twitter_logo_christian

Christian D'antonio

Christian D'Antonio (Salerno, 1974) osserva, scrive e fotografa dal 2000. Laureato in Scienze Politiche, è giornalista professionista dal 2004. Redattore di RioCarnival. Attualmente lavora nella redazione di JobMilano e collabora con Freequency.it Ha lavorato per Panorama Economy, Grazia e Tu (Mondadori), Metro (freepress) e Classix (Coniglio Ed.)